Spiegazione
della
Santa Messa
di
Dom Prosper Guéranger O.S.B
Abate di Solesmes (1805-1875)
XX - SANCTUS
II Trisagio è
il cantico che udì Isaia quand'ebbe la visione celeste e, dopo di lui, san
Giovanni, come ci narra egli stesso nella sua Apocalisse (4,8). La Chiesa non poteva
mettere questo cantico celeste al principio della celebrazione, quando ci siamo confessati
peccatori dinanzi a Dio e a tutta la corte celeste.
Che dicono dunque gli Angeli? Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth.
Celebrano la santità di Dio. Ma come la celebrano? Nella maniera più
perfetta: adoperano il superlativo, dicendo per tre volte di seguito che Dio è
veramente santo. Ritroviamo il cantico del Trisagio nel Te Deum: Tibi
Cherubim et Seraphim incessabili voce proclamant: Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus
Deus Sabaoth.
Perché applichiamo a Dio la triplice affermazione della santità? Perché
la santità è la principale delle perfezioni divine: Dio è santo
per essenza.
Già nell'Antico Testamento, il profeta Isaia udì questo cantico degli
Angeli, e più tardi, nel Nuovo Testamento, ce ne parla Giovanni, il discepolo
prediletto, nella sua Apocalisse. Dio è dunque veramente santo, ed Egli medesimo
si compiace di rivelarcelo. Ma alla santità va unita un'altra qualità:
Sanctus Dominus Deus Sabaoth, "Santo è il Signore, Dio degli eserciti";
come se si dicesse: Deus sanctus et fortis. Dunque, due qualità in
Dio: la santità e la forza. S'adopera l'espressione Deus Sabaoth o Deus
exercituum, "Dio degli eserciti", perché niente è più
forte d'un esercito che sormonta tutti gli ostacoli, supera tutte le difficoltà
e passa sopra a tutto, e ciò esprime perfettamente la forza di Dio. Dunque,
Dio è santo e forte, tanto forte quanto santo e tanto santo quanto forte.
Questo cantico angelico ha preso il nome di "Trisagio", termine
che deriva da agios, "santo", e da treis, "tre":
"Dio tre volte santo".
Nell'Antico Testamento esso costituiva una definizione della Santissima Trinità,
perché è come se si dicesse: "Santo è Dio Padre, Santo
è Dio Figlio, Santo è Dio Spirito Santo". Ma, per intravedere
questo, bisognava essere molto colti e conoscere le Scritture; e non vi erano che
pochi dottori in possesso d'una tale conoscenza. O, talvolta, era piaciuto a Dio
d'infonder una tale conoscenza in alcune anime privilegiate a cui si degnava di comunicar
i suoi lumi. Tra i Giudei vi sono sempre state di queste anime privilegiate.
Dopo aver confessato la santità e la forza di Dìo, la Chiesa ag?giunge:
Pieni sunt caeli et terra gloria tua. Non v'è nulla di più sublime
per esprimere la gloria di Dio. Infatti, non v'è angolo della terra dove la
gloria di Dio non brilli e risplenda; tutto è opera della sua potenza e tutto
lo loda e lo glorifica.
La santa Chiesa, contemplando in un trasporto di giubilo la gloria e la potenza di
Dio, esclama: Hosanna in excelsis. Così gridavano i Giudei, secondo
quanto ci dice la Scrittura, quando, la Domenica delle Palme, Gesù entrava
trionfante in Gerusalemme. Osanna filio David, gridava il popolo: sì,
Hosanna, che significa "saluto" e "rispetto". Unendo questo
saluto al Sanctus, la Chiesa ha costituito un solo brano liturgico. Hosanna
in excelsis, "saluto e rispetto nell'alto dei cieli", senza permettere
che alcuna dì tali espressioni così belle e significative cadesse in
oblio.
Come al principio della Messa la Chiesa ci ha unito agli Angeli per mezzo delle suppliche
del Kyrie, vero grido di tristezza, così ora vuole che ci uniamo di
nuovo ai cori angelici, ma in tutt'altra maniera. Essendo già penetrata nei
misteri, essa è vicina a raggiunger il loro possesso completo. Per questo
è presa dall'entusiasmo e pensa unicamente a cantar al suo Dio: Sanctus,
Sanctus, Sanctus, Hosanna in excelsis.
Era senza dubbio lodevole che i Giudei cantassero l'Hosanna mentre Gesù
scendeva dal monte degli Olivi, arrivando a Gerusalemme e traversando la Porta Aurea:
tutto era in armonia ed annunziava il trionfo. Ma, in realtà, è ancor
più opportuno cantarlo qui, nel momento in cui il Figlio di Dio sta per discender
in mezzo a noi che abbiamo la grazia di conoscerlo! È vero, infatti, che i
Giudei dicevano: Hosanna filio David, ma non lo conoscevano; dopo pochi giorni,
infatti, gridano contro di Lui: Tolle tolle, crucifìge eum.
Tutte le Chiese, a qualunque liturgia appartengono, qualunque rito seguono, hanno
questo Trisagio.
Anticamente il Sanctus si cantava nel medesimo tono del Prefazio e si aveva il tempo
sufficiente per dirlo intero prima della Consacrazione e di aggiungervi le parole:
Benedictus qui venit in nomine Domini. Più tardi si composero canti
più ornati, e dunque più lunghi. Da qui è venuto l'uso di divider
il brano in due parti, perché poteva accadere che la Consacrazione avesse
luogo prima d'averlo terminato. Il coro sospende dunque il canto alla parola Benedictus,
che riprende dopo la consacrazione. E così questa frase, che prima si considerava
come un saluto a Colui che doveva venire, diviene un saluto a Colui che è
già venuto.
Il sacerdote, al contrario, recita immediatamente dopo il Trisagio queste
parole: Benedictus qui venit in nomine Domini e, pronunziandole, traccia su
se medesimo il sacro segno della nostra Redenzione per esprimere che quelle parole
si applicano a Gesù Cristo. Tuttavia, la recita del Sanctus e del Benedictus
da parte del sacerdote non deve considerarsi come un uso relativamente recente, come
abbiamo detto parlando dell'Introito. Abbiamo veduto, infatti, il Sanctus
recitato da alcuni sacerdoti di rito orientale; ora, è noto che le liturgie
orientali hanno conservato quasi senza modifiche i riti da esse adottati sin dalla
più remota antichità.