Spiegazione
della
Santa Messa
di
Dom Prosper Guéranger O.S.B
Abate di Solesmes (1805-1875)
XXXIII - PER QUEM HAEC OMNIA
Anticamente si praticava
in questo momento della Messa una cerimonia che oggi è sparita. Sì
collocavano vicino all'altare pane, vino, verdura e frutta, e il sacerdote pronunciava
le parole seguenti (che anche oggi fan seguito alla conclusione dell'orazione precedente):
Per quem haec omnia, Domine, semper bona creas, sanctìficas, vivificas,
benedicis et praestas nobis. Nel proferire queste parole, il sacerdote, che allora
stava alla presenza del medesimo Dio e in tutta la grandezza del suo ministero, dava
la benedizione a tutti quei frutti che si presentavano dinanzi all'altare. La differenza
tra gli usi e costumi di quei tempi e quelli dei nostri giorni spiega perfettamente
l'esistenza di detta cerimonia nell'antichità e la sua omissione nell'epoca
attuale. Anticamente la Chiesa non aveva che un solo altare disposto secondo la descrizione
fatta da san Giovanni nell'Apocalisse, ossia: il trono del Padre in fondo all'abside,
l'altare dinanzi, i vegliardi a ciascun lato e l'Agnello sopra l'altare. Si diceva
una Messa sola, e non tutti i giorni; la celebrava il vescovo, e tutti i sacerdoti
si univano a lui e consacravano con lui. I fedeli presentavano dunque tutti i frutti
della terra e quanto serviva al loro nutrimento, perché il vescovo li benedicesse
in quell'unica Messa. Più tardi, verso il secolo VIII, per ispirazione dello
Spirito Santo, si andò facendo più frequente la celebrazione del santo
Sacrificio, si moltiplicarono gli altari e si aumentò il numero delle Messe.
E, a misura che s'introduceva questo santo costume, andò sparendo quello di
portar i frutti da benedire.
Che ne faceva dunque la santa Chiesa di queste parole di benedizione? Il sacerdote
le sottrasse al significato primitivo per applicarie al Corpo di Nostro Signore Gesù
Cristo presente sull'altare, attraverso il quale ci sono state date tutte le cose.
Così il sacerdote, pronunziando le parole sanctificas, vivificas, benedicis,
fa il segno di croce sull'Ostia e sul calice. Potrà dirsi che questo cambio
è un po' forzato, ma almeno ci dimostra il grande rispetto che la Chiesa porta
al Canone della Messa poiché, per non perdere queste parole, le applica al
Corpo di Gesù Cristo, che è stato creato come i frutti della terra
e che, per i misteri della sua Passione, della sua Risurrezione e della sua Ascensione,
ha compiuto perfettamente ciò che queste parole esprimono: sanctificas,
vivificas, benedicis; e, infine, preastas nobis, "ci è donato
come nutrimento".
Oggi rimane qualche vestigio dell'antica cerimonia nel rituale benedettino, poiché
il giorno della Trasfigurazione si benedice, in questo momento, l'uva, benché
non si adoperino per questa benedizione le parole del Canone, ma un'orazione presa
dal Messale di Cluny. Similmente, il Giovedì Santo il vescovo benedice a questo
punto della Messa l'olio degli infermi.
Il Canone volge al termine. Terminerà quando il sacerdote alzerà la
voce per dire la conclusione ultima e recitare l'orazione domenicale. I Greci chiamano
il Canone Liturgia. Con l'andar dei secoli il significato di questa parola
si è estesa a tutto l'insieme di cui si compone l'Ufficio divino, ma in principio
non s'intendeva altro che il Canone della Messa, il quale, secondo il significato
della parola greca, è l'opera per eccellenza. Similmente, vediamo scritto
nel Messale latino: Infra actionem, per significare ciò che si fa nell'Atto
del Sacrificio, che è l'atto per eccellenza. Inoltre, la parola Canone
è una parola greca, come abbiamo detto. Non v'è nulla di strano nell'uso
di queste parole greche, se si considera l'estensione grandissima che aveva avuto
la lingua greca nell'epoca in cui è nata la Chiesa, fino al punto che dei
quattro Vangeli, tre certamente furono scritti in greco.
Prima della fine della grande preghiera, si compie sull'altare un rito molto solenne,
che costituisce l'ultima confessione che fa la Chiesa dell'identità che esiste
tra il Sacrificio della croce e quello della Messa. Il sacerdote scopre il calice
che contiene il Sangue del Signore, e, dopo aver fatto la genuflessione, prende con
la mano destra l'Ostia santa e con la sinistra il calice; poi fa con l'Ostia il segno
di croce sul calice per tre volte, dicendo: Per ipsum, et cum ipso, et in ipso;
quindi fa il segno di croce, sempre con l'Ostia, tra il calice e il suo petto, ed
aggiunge: est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancii; mette
quindi di nuovo l'Ostia al di sopra del calice ed, alzando un po' l'una e l'altro,
dice: omnis honor et gloria; posa infine l'Ostia sul corporale, ricopre il
calice e dice: Per omnia saecula saeculorum, e il popolo risponde: Amen.
Che cosa significano questi gesti del sacerdote? La santa Chiesa possiede il suo
Sposo nello stato d'immolazione e di sacrificio, ma sempre vivente. Così vuoi
far rilevar in Lui questa qualità di Dio vivente e l'esprime con la riunione
del Corpo e del Sangue del Signore, ponendo l'Ostia al di sopra del calice che contiene
il prezioso Sangue, per rendere gloria a Dio. Allora dice per bocca del sacerdote:
per ipsum, per Lui è glorificato il Padre; et cum ipso, con
Lui è glorificato, perché la gloria del Padre non è superiore
a quella del Figlio, né da quella isolata (quanta grandezza in questo cum
ipso!), et in ipso, in Lui è glorificato il Padre, poiché
la gloria che il Figlio da al Padre è nel Figlio e non fuori di Lui, in
ipso. Sicché, dunque, per Lui, con Lui (cioè condividendo insieme
con Lui), e in Lui, si da a Dio Padre tutto l'onore e tutta la gloria.
Il sacerdote fa ancora il segno di croce per due volte, ma lo fa solamente tra il
calice e il suo petto. Perché questa differenza? Le parole che pronuncia ce
lo dicono: est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti. Poiché
né il Padre né lo Spirito Santo sono stati immolati, non conviene che
nominandoli si metta l'Ostia al di sopra del Sangue che appartiene unicamente al
Figlio, essendo stato Egli l'unico a rivestirsi dell'umana natura e ad immolarsi
per noi.
Ma, pronunziando queste ultime parole: omnis honor et gloria, il sacerdote
riporta l'Ostia santa al di sopra del calice, volendo esprimere che ormai, nelle
vene del Dio ch'egli offre, circola il Sangue divino con l'immortalità. Il
sacerdote può dunque dire a Dio: omnis honor, et gloria, "quest'offerta
è l'atto più glorioso che possa essere fatto in onor tuo, o Signore,
perché possediamo Cristo risuscitato, ed è Lui medesimo che è
immolato in tuo onore su quest'altare". No, Colui che offriamo non è
una semplice creatura, ma per lui e con lui - per ipsum et cum ipso - si da
a Dio ogni gloria ed onore. Tale gloria e tale onore vanno direttamente a Dio, il
quale non può ricusare l'omaggio che gli tributa Colui che è immolato
e che tuttavia è vivo. Il Sacrificio offerto in questo modo è il più
grande che possa farsi per Iddio.
L'immolazione di Nostro Signore sul Calvario fu un delitto orrendo e abominevole;
l'immolazione che s'effettua sull'altare è quanto di più glorioso possa
esservi per Dio, poiché Colui che è offerto è vivo. È
il Dio vivente che noi offriamo: è il Figlio vivente offerto al Dio vivente.
Può esservi nulla di più grande? E che cosa v'è di più
giusto dell'esprimer questo pensiero ponendo il Corpo del Signore al di sopra del
calice che contiene il suo Sangue? Ecco perché il santo Sacrificio della Messa
è l'atto più glorioso che si possa far per Iddio, poiché in
questo momento sublime gli si tributa ogni onore e gloria: per ipsum, et cum ipso,
et in ipso.
Questo rito solenne, di cui abbiamo trattato, ci mostra anche quanto Dio abbia amato
il mondo. Pensiamo bene che il sacerdote ha tra le mani Colui per il quale non solamente
si da a Dio ogni onore e gloria, ma Colui che condivide con Dio questa medesima gloria:
per ipsum, et cum ipso! È il Verbo del Padre che si lascia prendere,
che si lascia toccare, perché vuole che si dia a Dio ogni gloria ed onore:
omnis honor et gloria; vuole che salga fino al trono di Dio un omaggio che
possa essergli gradito. Che sono gli omaggi degli uomini in confronto a quelli che
Nostro Signore rende al Padre suo?
Sì, il santo Sacrificio della Messa è veramente l'atto più glorioso
che possiamo offrire a Dio. È ben vero che possiamo anche offrirgli delle
preghiere o far atti di virtù, ma ciò non forza la sua attenzione,
mentre nella Messa è obbligato da tutte le perfezioni in essa contenute a
prestar attenzione all'omaggio che gli viene reso.
Ma questo rito così importante esiste sin dai primi secoli? Certamente è
antichissimo e deve essere sempre esistito, perché si trova ovunque. Si comprende,
infatti, che là santa Chiesa, offrendo il suo Sposo a Dio, non può
sempre dire che è morto; essa l'ha immolato, è vero, ma Colui che ha
così immolato è vivente e bisogna che lo confessi. Ora trovano esatto
compimento i tre grandi misteri della Passione, della Risurrezione e dell'Ascensione.
Il nostro Cristo è veramente tutto quanto ci esprimono questi tre misteri,
e la santa Chiesa ce lo ricorda. Prima che si fossero compiuti, non esistevano -
per così dire - tante ricchezze. Nasce in Betlem, ma l'Incarnazione sola non
doveva salvarci, secondo i disegni di Dio, quantunque sarebbe stata più che
sufficiente a riscattarci, se Egli l'avesse voluto. Allora Cristo soffre la Passione,
ma anche questo non è tutto. Gli manca la vittoria sulla morte: la Risurrezione.
Anche questo non basta. Cristo deve aprire le porte del cielo, e per questo occorre
la sua Ascensione. Bisogna che la nostra natura umana di cui s'è rivestito,
nella quale ha sofferto e per la quale ha subito la morte, sia da Lui collocata in
cielo, per mezzo della sua Ascensione gloriosa. Così, dunque, Colui che il
sacerdote tiene nelle sue mani è realmente il Signore, che ha sofferto, è
morto, è risuscitato ed è salito al cielo.
Ecco perché dobbiamo ringraziare costantemente Dio per essersi degnato di
farci nascere dopo il compimento di tutti questi grandi misteri. In quanto a quelli
che sono morti tra la Risurrezione e l'Ascensione, benché più felici
di molti altri, non lo sono stati però quanto noi, perché i misteri
di Cristo non erano allora completi.
Quelli che sono morti tra la morte di Nostro Signore e la sua Risurrezione furono
meno felici ancora.
Quanto a coloro che sono morti prima della venuta di Gesù Cristo, non avevano
altro che le speranze ed era loro necessario lasciare questa vita prima di vederle
realizzate. Quanto più fortunati siamo noi rispetto a quelli che ci hanno
preceduto! Noi diciamo: Unde et memores, Domine, nos servi tui, sed et
plebs tua sanata, eju-sdem Christi Filli tui Domini nostri tam beatae Passionis,
nec non et ab inferis Resurrectionis, sed et in caelos gloriosae Ascensionis.
Quanta forza ci danno queste parole che ci ricordano la Passione, la Risurrezione
e la gloriosa Ascensione di Gesù Cristo! Qual religioso fervore e quale amore
non dobbiamo avere per una sola Messa, poiché è ciò che di più
grande ha fatto Gesù Signore! È tutto ciò ch'Egli può
fare; è ciò che farà sempre, perché il ministero di Gesù
Cristo non cesserà mai; Egli è e sarà sempre il Sommo Sacerdote:
Tu es sacerdos in aeternum.
Nostro Signore sarà sempre Sacerdote, poiché lo stesso Padre suo glielo
ha detto: Juravit Dominus et non paenitebit eum: tu es sacerdos in aeternum
secundum ordinem Melchisedech, "il Signore l'ha giurato, e non se ne pentirà:
tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech" (Sai 109,4). Il
Signore lo ha giurato, juravit, e - aggiunge -: secondo l'ordine di Melchisedech,
perché Gesù Cristo deve esercitar il suo ministero per mezzo del pane
e del vino che furono anche la materia del sacrificio di Melchisedech. È dunque
Sacerdote per sempre - in aeternum - offrendosi sempre per noi ed essendo
sempre vivo. E ciò, secondo quanto afferma san Paolo, al fine d'interceder
per noi: Semper vivens ad interpellandum prò nobis (Eb 7,25), avendo
conservato le piaghe della sua Passione per esser in relazione col Sacrificio ed
offrirle per noi al Padre.
Così la santa Chiesa dice con piena confidenza in Dio: Jube haec perferri
per manus sancii Angeli tui in sublime altare tuum, in conspectu divinae majestatis
tuae, "Comanda, Signore, che le cose che offriamo qui, haec, siano
trasportate per mano del tuo Angelo al tuo sublime altare, perché formino
un tutt'uno con quell'altare del cielo, poiché sono degne di esso". E
ciò perché sull'altare della terra come sull'altare del cielo, è
sempre Gesù Cristo Colui che offre, essendo Sacerdote in eterno ed insieme
Vittima. E, quando il mondo avrà cessato d'esistere, Nostro Signore continuerà
a render a Dio i medesimi omaggi nella sua qualità di Sacerdote: sacerdos
in aeternum, perché Dio deve essere sempre onorato. Orbene, la parte propiziatoria
e la parte impetratoria del Sacrificio cesseranno d'esistere, mentre Gesù
Cristo, sacerdos in aeternum, continuerà unicamente ad adorar e a ringraziare.
Non sarà inutile far notare brevemente che il santo Sacrificio della Messa
è circondato dal sacrificio della lode, e questo riceve da quello la sua vita
vera. La santa Chiesa ha fissato l'Ora Terza per offrire il santo Sacrificio. E poiché
a quest'ora discese lo Spirito Santo sulla Chiesa, ci fa cominciare Terza dicendo:
Nunc Sancte nobis Spiritus... Ella invoca il divino Spirito affinchè
con la sua presenza la infervori e la prepari ad offrire il gran Sacrificio. Sin
dal Mattutino, tutto l'Ufficio riceve già i raggi di luce che emanano da questo
Sacrificio, e tale influenza durerà sin all'ora di Compieta, che pone fine
al sacrificio della lode.
Un tempo, come abbiamo detto, l'elevazione avveniva alla fine del Canone, uso che
ha conservato la Chiesa greca. Il sacerdote, dopo aver posto l'Ostia al di sopra
del calice ed aver detto le parole: omnis honor et gloria, si volta verso
i fedeli e mostra loro il Corpo e il Sangue del Signore, mentre il diacono fa ad
essi udire le parole: Sancta sanctis, "le cose sante ai santi".
Finita la grande preghiera del Canone, il sacerdote rompe il silenzio che finora
regnava nell'assemblea ed esclama: Per omnia ssecula saeculorum. E il popolo
risponde: Amen, in segno di approvazione di ciò che è stato
fatto e d'unione all'offerta, presentata a Dio.